Si è parlato in modo molto discordante, negli ultimi anni di mercato russo. Chi lo ha sempre escluso, credendolo troppo instabile, chi invece lo ha considerato scegliendo di investire e portando risultati.
La realtà è che l’Italia del vino è da oltre 10 anni il primo importatore con una quota di mercato in valore medio del 30% (circa 262 milioni di euro) e in volume del 20% e questa quota è stabile negli anni. Anche il temuto embargo che ha tanto spaventato i paesi esportatori negli anni passati, è stato rapidamente superato senza sostanzialmente ribassare i volumi, come si vede dal grafico qui sopra: anzi. Nella loro valuta (il Rublo) non c’è stato un singolo anno in cui hanno speso di meno dell’anno precedente e i dati diffusi dal Gambero Rosso che vuole un 2019 che sfiora quota 300 milioni di euro: 294 milioni di euro (+11,1%) sul 2018 (cfr. su settimanale 48/2019).
È vero che i vini fermi hanno progressivamente diminuito il loro appeal sul mercato, vedendo scendere la quota di importazione, ma gli spumanti hanno compensato facendo segnare un +14% (sono passati 85 a 97 milioni di euro).
I canali di vendita sono più o meno simili a quelli degli altri Paesi del mondo, con una quota importante di importatori storici che non hanno subito praticamente alcuna flessione nelle loro quote, superando tutte le crisi e senza rallentare i loro business.
Possiamo generalmente definire così il mercato:
Le denominazioni più note la fanno da padrona e il motivo è abbastanza semplice da comprendere: i consumatori le cercano e le chiedono perché le conoscono!
Le riviste di settore non mancano mai di citare – tra i migliori italiani – Amarone della Valpolicella, Brunello di Montalcino e Bolgheri, Barbaresco e Barolo e ancora Nobile di Montepulciano (che forse piace proprio per quel Nobile?) e ancora Sagrantino di Montefalco, Aglianico e Franciacorta. A proposito di Franciacorta, molto vendute (e i dati dell’import lo confermano) gli spumanti in genere e il Prosecco che anche qui sta riscuotendo un enorme successo.
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