
I numeri dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Nomisma / Vinitaly sull’export di vino italiano nel 2020 raccontano un settore che, nonostante gli effetti della crisi, ha saputo reggere meglio di altri l’urto con la pandemia. La strada della ripresa è ancora lunga, ma è obbligatorio trovare nuove strade per promuovere l’export e incrementare le vendite.
Ci sono due modi di affrontare una crisi: con iniziativa o con rassegnazione. E quella del 2020 non fa differenza.
Una crisi, quella di quest’anno, che a dirla tutta non esclusivamente imputabile alla pandemia, perlomeno per quanto concerne il vino. Segnali di piccoli e grandi sconvolgimenti ci erano stati anche alla fine del 2019. Dalla crisi del vino georgiano in Russia, alla Brexit nel Regno Unito (con la possibile, e ancora non scongiurata, applicazione di nuovi dazi sui prodotti di importazione), fino alle minacce di nuove tassazioni sui vini stranieri paventata dall’ex presidente americano Donald Trump.
Acque difficili in cui navigare, nonostante le quali, però, il vino italiano è comunque riuscito a chiudere il 2019 con un record di 44,6 miliardi complessivi. Un trend che aveva fatto, a ragione, ben sperare produttori e operatori di settore, sicuri, nel gennaio 2020, che l’anno venturo sarebbe stato ancora migliore.
Poi è arrivata l’emergenza, impossibile da prevedere. Nel corso di quest’anno, la filiera vitivinicola è stata sicuramente il settore più monitorato nel Bel Paese. E non a torto.
Escludendo l’indotto e l’export, il vino in Italia produce un valore medio annuo per 11 miliardi di euro, con oltre 300.000 aziende agricole direttamente coinvolte nella produzione di circa 50 milioni di ettolitri di vino. Un settore cresciuto nello stupore generale soprattutto nel segmento export, dove ha registrato un incremento del 68% per valore e del 15% per volume solo dal 2017 ad oggi.
Un risultato che ha, di fatto, consacrato l’Italia sul podio internazionale del vino, insieme ad altri importanti paesi produttori come Spagna, Australia, Cile e, soprattutto, Francia.
Export di vino italiano: numeri del 2020
Nel corso di quest’anno è stato detto tutto e il contrario di tutto. Numeri, cifre e percentuali si sono accavallati in uno schizofrenico saliscendi di interpretazioni, e questo ci riporta direttamente all’inizio di questo articolo: com’è andato il vino italiano nel 2020?
Esistono due modi per dirlo.
Abbiamo perso
È vero. Secondo i dati raccolti nell’ultimo “Focus mercati – consumi e previsioni import 2020” dell’Osservatorio Nomisma / Vinitaly, il valore delle esportazioni di vino italiano nel 2020 è sceso del 4,6%. Ben 6,1 miliardi di euro in meno rispetto all’anno precedente. A perdere di più i principali poli di attrazione del vino italiano nel mondo, dagli Stati Uniti (-2%) alla Germania (-3%), fino al Regno Unito, dove la pandemia unita alla questione Brexit ha determinato un significativo calo del -12%.
Ad incidere fortemente, il blocco internazionale alla ristorazione, che ha determinato una perdita ovviamente più alta rispetto alla GDO.
Poteva andare peggio
Come, d’altronde, è stato per altri Paesi. La Francia, top player al primo posto nel mercato internazionale del vino, chiude il 2020 con una perdita del 17,9% sulle esportazioni. A crollare in particolar modo i vini di lusso, tra i più penalizzati dai chiari di luna del mercato statunitense.
Più in generale, il calo del 4,6% registrato dell’Italia appare minimo se comparato alla media del -10% registrato a livello internazionale, con indici in positivo per il Bel Paese in Svizzera e Svezia, rispettivamente del +4,3% e +2,2%, non registrati da altri top player.
Dati che evidenziano come l’Italia del vino abbia saputo reggere molto meglio di altri l’impatto con la crisi ancora in corso. Sia grazie a fattori del tutto casuali (essendo stato il primo paese europeo colpito dalla pandemia, l’Italia ha beneficiato di un iniziale boom di esportazioni nei primi mesi dell’emergenza) e sia per la stabilità di un settore in crescita esponenziale, la cui solidità risiede nelle capacità di chi vi opera e nella qualità dei suoi prodotti, universalmente riconosciuta.
Inoltre, è bene evidenziare come le perdite registrate nel 2020 siano state calcolate sulla base dei successi raggiunti nel 2019. Un anno, come detto in precedenza, da record che quindi, in un certo senso, giustifica perdite di valore più alto.
Export ancora primo canale per il vino italiano
L’export si riconferma il motore trainante del vino italiano, con oltre il 60% della produzione nazionale che prende ogni anno la via dell’estero. A crescere rispetto alla media nazionale degli ultimi anni sono state tipologie di vini molto diverse, che hanno saputo ritagliarsi il proprio segmento di mercato con un perfetto equilibrio tra domanda e prezzo.
Tra questi vini nobili come Barolo e Amarone della Valpolicella, e varietà di consumo più indirizzate al canale della GDO come Lambrusco, Montepulciano d’Abruzzo e Primitivo.
Penalizzati con l’arrivo dell’emergenza sanitaria i prodotti orientati al canale retail e HoReCa, e le bollicine, che perdono circa il 5,7% rispetto all’anno precedente. Segno tangibile, per vini simbolo di ricorrenze, aperitivi e occasioni speciali, che in questo 2020 ci sia ben poco da festeggiare.
Ad essere premiate le cantine che hanno saputo giocare d’anticipo, trovando nuove strade per incontrare importatori alla ricerca di vino italiano, facendo fronte al posticipo o annullamento delle principali fiere di settore.
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Se esistono due modi di affrontare una crisi, noi abbiamo scelto di non mollare. Il mondo del vino italiano è stato forte abbastanza per resistere alla crisi, ora c’è bisogno di rilanciare per continuare a crescere.
I dati di settore parlano chiaro: solo il 10% delle cantine italiane aumenterà il proprio business nel 2021. Trovare nuove strade e nuove strategie diventa quindi essenziale e, come sempre, vincerà chi arriva primo.
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