
I dati di settore raccolti nel corso dell’ultimo anno dall’Osservatorio Nomisma / Vinitaly restituiscono un quadro tutto sommato positivo sulle performance del vino italiano. Una perdita c’è stata, è innegabile, ma le ripercussioni potevano essere ben peggiori, soprattutto se si pensa che proprio l’Italia ha rappresento, suo malgrado, il primo paese europeo ad essere colpito dall’emergenza all’inizio della primavera scorsa.
Tuttavia, la flessione media complessiva del 3% – 5% del vino italiano appare meno drammatica, se comparata con quelle del -17% e -15% registrate rispettivamente da Francia e Spagna. Le principali criticità hanno riguardato in particolar modo l’export, che tra lo stop alle fiere di settore, difficoltà nelle spedizioni, rincari dei dazi in USA (effettivi e millantati) e crollo del mercato cinese hanno determinato una forte e generale battuta d’arresto per il settore.
Il tutto a seguito di anno di grandi speranze, il 2019, alla fine del quale la popolarità dell’italian wine era schizzata alle stelle facendo guadagnare ai produttori del Bel Paese la conferma di un posto sul podio internazionale. Il 2020 sarebbe, quindi, dovuto essere un anno di ulteriore consacrazione dei nostri vini ma, come sappiamo, non è andata così.
È stato, invece, un anno di riflessioni, durante il quale il vino italiano ha acquisito maggiore consapevolezza dei suoi successi, ma anche delle sue criticità. Perché, a guardare bene, in quel deficit del 3% – 5% è nascosto un dato importante, ma troppo spesso dimenticato, che riguarda in particolar modo i piccoli produttori, spina dorsale del settore e protagonisti dei successi del vino italiano nel mondo degli ultimi anni.
Stando ai dati, infatti, sono stati proprio loro a sopportare la pressione maggiore della crisi in atto, pagando a caro prezzo le ripercussioni dettate dai blocchi alla ristorazione nei diversi paesi, a cominciare dall’Italia, e dalla mancanza di alternative reali alle fiere di settore in grado di offrire continuità all’export.
Covid e vino italiano: non tutti i numeri sono in negativo
Nelle statistiche, il vino italiano nell’anno della pandemia non ha solo perso, ma anche guadagnato punti in percentuale.
È il caso della grande distribuzione, dove le vendite hanno ampiamente superato quelle dello scorso anno, generando buoni profitti per le più famose catene di distribuzione e, di conseguenza, per le grandi cantine. Incrementi a doppia cifra anche per il segmento e-commerce che, nei primi mesi dell’anno, ha vissuto un incredibile exploit, rientrato tuttavia dopo pochi mesi con l’affievolirsi di contagi e misure restrittive.
A segnare in positivo anche piccoli e grandi produttori che in questi anni sono riusciti a differenziare canali di vendita e paesi target per l’export, con un buon equilibrio tra trade e retail. Una strategia che ha permesso di beneficiare di una rete di salvataggio nel momento in cui le cose si sono messe male. A ben guardare, però, anche dove le statistiche sembravano, in un primo momento, segnare in positivo sono poi intercorse difficoltà che hanno completamente ribaltato la situazione.
È il caso dei vini frizzanti, come Franciacorta e Prosecco, che dopo una prima impennata iniziale a ridosso del primo lockdown, con gli importatori europei letteralmente alla frontiera per assicurarsi i carichi, hanno invece subito un drastico crollo delle vendite registrando fino all’11% in meno di export a fine anno.
Per i piccoli produttori servono nuove strategie
Se i big player della distribuzione e dei marketplace e-commerce, italiani e stranieri, sono riusciti a dare una risposta immediata ai problemi di grandi e medie cantine, a pagare lo scotto maggiore della crisi sono, e continuano ad essere, i piccoli produttori.
Proprio a loro, secondo gli studi, appartenevano gli oltre 50 milioni di ettolitri ancora in giacenza nelle cantine alla fine dello scorso maggio. Produzione che avrebbe dovuto trovarsi già sulle tavole dei ristoratori di tutto il mondo, se il Covid non avesse complicato le cose. Parliamo di cantine nate da pochi anni o di lunga tradizione familiare, con pochi dipendenti e difficoltà di posizionarsi sul mercato, ma produttori di vini premiati, ricercati e impreziositi da denominazioni e riconoscimenti.
Aziende senza possibilità di ingaggiare uno o più export manager di riferimento per le vendite internazionali, senza contatti di importatori o con contatti sbagliati rispetto alle tipologie di vini prodotti, canali unidirezionali e non differenziati che, per queste ed altre ragioni si sono trovate in difficoltà con l’insorgere dell’emergenza.
Cantine che rappresentano ciò che da sempre il pubblico internazionale cerca e riconosce nel vino italiano: tradizione, qualità ed esclusività, alle quali sarebbe bastato il contatto giusto al momento giusto per dare un po’ di respiro alle vendite. Soprattutto se si pensa che la domanda di vino non è mai scemata nell’ultimo anno, tagliando anche traguardi positivi in paesi come Svizzera e Svezia, dove la richiesta di vino è cresciuta rispettivamente del +4,3% e +2,2%.
Vendere vino all’estero online: una risposta la problema
Le occasioni, quindi, non sono mancate e continuano a non mancare. La ripresa cinese, con il recente stop ai vini australiani, rappresenta una grande opportunità per le cantine italiane. Così come la recente dichiarazione della prossima sospensione dei deal approvati dall’amministrazione Trump da parte del neoeletto presidente Biden. E, infine, il prestigio acquisito nel Regno Unito dal vino, diventata negli ultimi anni la bevanda nazionale più amata dai britannici (con successi ben espressi anche dalle percentuali di transazioni raggiunte da vini come il Montepulciano d’Abruzzo).
A favorire le strategie fondi e finanziamenti specifici per l’export, che vanno dai contributi Psr ai bandi Ocm Vino Paesi Terzi, con spese ammissibili che includono, dallo scorso anno, anche strategie di scouting e promozioni 2.0 come le degustazioni online.
A mancare è stata (e continua ad essere) una efficace e già strutturata alternativa digitale in grado di offrire una risposta alle necessità di importatori e produttori, già alla sospensione delle prime fiere di settore.
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Che la degustazione e il matching online supereranno le strategie tradizionali era già un dato di fatto ben prima del Covid. E a dirlo non erano neanche gli ultimi arrivati, ma professionisti dell’enologia internazionale in grado di interpretare i cambiamenti del settore.
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