
Il successo emerso dai numeri in fortissima crescita dell’export di vini italiani nel primo semestre 2021 ha rappresentato una boccata di ossigeno per l’intera filiera. L’incremento esponenziale delle transazioni registrato in Russia, Canada e, soprattutto, Cina (+36,8% in volume) ha superato il record istituito nel 2019, con una maggiorazione del +6,8% rispetto ai livelli prepandemici.
L’entusiasmo generale sull’onda di quello che è già stato definito “revenge spending”, ossia il boom di consumi post lockdown, guarda già al superamento del tetto massimo di 50 miliardi in valore del settore entro fine anno, ma è bene prestare attenzione. Se da un lato, infatti, le statistiche di Istat, Federvini e Veronafiere sono unanimi nell’annunciare la ripresa dei consumi, dall’altro è necessario fare i conti con nuove dinamiche e problematiche pre-esistenti, che potrebbero compromettere il trend di questi ultimi sul lungo periodo.
La mappa dell’export agroalimentare sta cambiando
Non solo a causa della Pandemia, o di fattori paralleli come la Brexit nel Regno Unito, approvazione di nuove politiche anti-dumping da parte di Pechino o revisione dei dazi in USA.
A condizionare la geopolitica del settore è anche il naturale assestamento del mercato, all’interno delle economie internazionali. Va da sé che, per esempio, l’eccessiva competizione all’interno dei principali mercati statunitensi per il vino internazionale abbia negli ultimi anni costituito motivo di rinuncia da parte di piccoli e grandi produttori, alla ricerca di mercati meno competitivi, con marginalità maggiori o in crescita.
Non è un caso, se proprio gli USA, a differenza degli altri importanti top buyer citati in precedenza, abbiano chiuso in deficit il primo semestre 2021. Allo stesso modo la Germania, da anni ormai primo importatore di vini italiani in Europa, conferma la sua posizione con +9,3% nello stesso periodo, ma affiancata da Svizzera e largamente superata da poli di attrazione esteuropei.
Proprio in Germania, infatti, la sempre crescente “febbre del vino”, che negli ultimi anni ha determinato un forte aumento dei consumi della bevanda, ha interessato non solo i produttori internazionali (con un forte incremento della concorrenza e il consequenziale calo di marginalità), ma lo stesso mercato interno. Agevolati dal cambiamento climatico, il settore dei vini tedeschi è oggi in pieno sviluppo e deciso a primeggiare in qualità con i giganti dell’enologia internazionale.
A corollario di tutto resta l’incognita cinese: un mercato attualmente in grande espansione, sul quale però, insieme a tutti gli altri, pesa gravemente per l’Italia la questione dei costi di logistica e distribuzione.
Tasse, infrastrutture e servizi: l’Italia soffre il peso della logistica
Se da sempre l’Italia del vino vive all’ombra dei cugini francesi non è solo per una questione, per così dire, “storica”. Sul Bel Paese grava da troppo un fattore in grado di incidere pesantemente sulla sua competitività: le spese della logistica nella distribuzione dei vini, compreso l’invio di campionature.
Lo spiega bene l’ultimo rapporto del Centro Studi Divulga, che evidenzia come l’Italia debba misurarsi con un costo medio chilometri per il trasporto pesante pari a 1,12 €/km, 4 centesimi più di quello francese e ben 8 centesimi rispetto a quello tedesco.
Senza citare, ovviamente, le tariffe medie in est Europa, dove il prezzo complessivo sfiora mediamente i 60 centesimi di euro.
“Si tratta di un aggravio per gli operatori economici italiani superiore dell’11% rispetto alla media europea, che colloca il nostro Paese al 30esimo posto nella classifica mondiale stilata dal Global Competitiveness Report (Gcr), curato dal World Economic Forum, che monitora il livello di competitività delle economie mondiali, valutando anche il livello delle infrastrutture”.
Vincenzo Gesmundo – Segretario Generale della Coldiretti
La soluzione è ben nota da tempo, ma di lunga e difficile attuazione: fornire al Paese maggiori infrastrutture per il trasporto su gomma e rotaia, agevolando al tempo stesso spedizionieri e reti commerciali, in modo da alleggerire l’aggravio economico su una filiera che, ad oggi, rappresenta un fiore all’occhiello del made in Italy nel mondo.
Export di vini: l’online come opportunità
Se in linea di massima i benefici dell’online sono noti ai più, questi hanno certamente dimostrato il loro potenziale nel corso dei mesi più difficili dell’emergenza sanitaria. Grazie a strategie da remoto, come lo scouting di importatori, produttori e operatori di settori sono riusciti ad ovviare alla scomparsa delle fiere in presenza.
Fattore non da poco se si pensa che, solo fino a due anni fa, un format come la fiera sembrava l’unico canale possibile, mentre l’online rivestiva appena un ruolo di “supporto” a quest’ultima.
Grazie alle fiere digitali, molte cantine hanno trovato un modo pratico, veloce e, soprattutto, più economico per far fronte all’emergenza e ottenere gli stessi obiettivi: contatti e transazioni con importatori operanti nei mercati più remunerativi per i propri vini.
Il tutto, senza spese di viaggi, allestimenti, mediazioni linguistiche e esosi trasporti di campionature per le degustazioni. In questo senso, il web ha rappresentato una riscoperta, ma anche l’ovvia direzione da intraprendere per un mercato alle prese con il proprio futuro.
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