
La pubblicazione del nuovo studio di settore redatto dall’Osservatorio dell’UIV ha evidenziato un importante gap degli italian wines rispetto ai loro principali competitor internazionali. A trainare il segmento dell’export, per l’associazione, sarebbero ancora (troppo) vini in fascia entry level / value, con caratteristiche che non rendono giustizia alla reale caratura delle etichette italiane.
La buona reputazione dell’enogastronomia made in Italy nel mondo, unita ai grandi successi in termini di esportazioni di vini italiani registrati negli ultimi anni sembra non essere ancora riuscita ad oltrepassare la soglia dei prodotti premium. Un dettaglio su cui cantine e associazioni di categoria continuano ad interrogarsi, alla ricerca di soluzioni utili ad alzare il livello del posizionamento. Strategie all’interno delle quali diventa sempre più essenziale affidarsi ad export manager in grado indirizzare denominazioni e tipologie di vini verso i mercati più remunerativi per ogni singolo prodotto.
Export: i numeri del vino italiano secondo l’UIV
Vini italiani fuori dai segmenti di fascia alta, con le maggiori percentuali di vendita nell’ultimo biennio riscontrate tra i value / popolar, e una media di prezzo tra i 3 e i 6 euro.
Il 75% dei vini italiani venduti all’estero non supera questo range e solo il 5% dei vini made in Italy viene venduto oltre i 9 euro. Un posizionamento piuttosto basso, se comparato con la media internazionale degli scambi, che vede in lizza i vini francesi, ma anche australiani e neozelandesi.
Secondo lo studio, condotto dal neonato Osservato Uiv e commissionato dalla nuova Vinitaly Special Edition, appena il 28% del vino italiana in fascia bassa, cioè entry level / value, oltrepassa il tetto dei 3 euro a bottiglia, consegnando solo il 20% alle etichette italiane di categoria premium vendute all’estero.
Nel mercato degli Stati Uniti, la quota dei vini premium / superpremium (cioè da 9 euro in su), si attesta appena al 26%. Un dato nettamente inferiore rispetto alla media di mercato, ma soprattutto ad altri grandi competitor, come la Francia, che presidia invece la fascia premium con il 66% delle transazioni.
Stessa sorte in Cina, con i vini italiani che superano tuttavia quelli spagnoli e cileni, con il 21% delle referenze quotate oltre i 6 euro. Meglio in Giappone, dove i vini del Bel Paese prendono quota anche tra le categorie di vini lusso ed extra lusso.
Magra consolazione è riscontrare come il vino italiano presidi la propria categoria nel resto del mondo, affermandosi come il primo esportatore world wide di vini entry level.
Export di vini italiani: una buona notizia c’è
Anzi, due. La prima è che, dalla media dei numeri del vino raccolti dall’Uiv spiccano rossi nobili toscani e piemontesi, con performance addirittura maggiori su alcuni mercati rispetto ad altri player, e con buoni margini di crescita.
È il caso dei vini piemontesi sul mercato USA, a pari merito con i Bordeaux francesi, o dei vini toscani in Cina, che addirittura superano di 2 punti in percentuale i vini bordolesi e del 9% quelli australiani.
Seconda buona notizia e che il trend non sembra interessare gli spumanti e, in particolar modo, il Prosecco. Dopo la difficile situazione pandemica, durante la quale i numeri dei vini frizzanti sono precipitati ai minimi storici, la situazione sembra gradualmente tornare alla normalità, con una buona ripresa del segmento.
Tuttavia, a destare il maggiore interesse è l’incremento in valore delle bollicine, quadruplicato a livello internazionale negli ultimi dieci anni. Ed è proprio in questo termine di tempo che Uiv e Veronafiere hanno posto l’accento per un lavoro di ricostruzione della filiera su nuove basi, capaci di raggiungere risultati sempre migliori.
Strategie incentrate sulla case history degli spumanti in rosa, che negli ultimi anni hanno saputo dimostrare potenzialità e desiderio di crescita, cominciando proprio dal Prosecco, con la possibile apertura della tipologia rosato nel disciplinare di produzione.
Ed è lo stesso Paolo Castelletti, segretario generale dell’Uiv, ad indicare una direzione da seguire, ricordando come:
“La crescita in valore del vino italiano negli ultimi anni è stata più rilevante rispetto a quella degli altri Paesi produttori. Ma siamo a metà del percorso e i margini potenziali sono notevoli, considerata la qualità del prodotto. Serve un cambio di passo sul fronte del posizionamento e dell’identità del nostro vino; asset raggiungibili attraverso politiche di settore lungimiranti e concertate con le imprese, con un approccio meno individualistico alla promozione, una maggior omogeneità nello standing elevato delle grandi denominazioni e un importante lavoro identitario legato alle nuove tendenze, a partire dai vini green”.
Vendere vino all’estero online: il digitale è una risorsa
Incrementare le performance del vino italiano significa trovare nuovi modi per raccontarlo e venderlo. In questo, la svolta in digitale affermatasi nel 2020 ha dimostrato tutto il proprio potenziale.
Un potenziale non solo interessante, perché in grado di offrire a piccole e grandi cantine opportunità per entrare in nuovi mercati in modo più veloce, economico e pratico rispetto alle tradizionali fiere in presenza. Ma un potenziale, più che altro, necessario data la sempre maggiore affluenza di professionisti e importatori nelle fiere digitali (e meno in quelle fisiche più lontane) e della presenza di export manager sempre più specializzati.
Investire oggi significa primeggiare domani. Noi di Wine Business Hub lo abbiamo fatto, sviluppando la prima fiera digitale italiana per vendere vini all’estero a importatori da tutto il mondo.
Richiedi maggiori informazioni per scoprire costi di iscrizione e modalità di match con i nostri importatori, e vendi oggi i tuoi vini all’estero online direttamente dalla tua cantina!