
Nella patria del capitalismo e del libero mercato, il vino italiano ha lavorato duramente in questi anni per ritagliarsi un proprio spazio vitale. Un operazione difficile e articolata, che nel 2020 ha, però, dimostrato i primi e più interessanti risultati in positivo. Proprio nell’anno nero della pandemia globale, l’export di vino italiano negli USA ha registrato un buon incremento, se paragonato al collasso di altri importanti player internazionali.
Primo tra tutti la Francia, capofila tra le nazioni importatrici fino all’insediamento dell’ormai ex presidente Donald Trump che, a causa delle sue antipatie per l’Eliseo, ha di fatto costretto i vini francesi (ma anche tedeschi e spagnoli) alla retrocessione, anche e soprattutto a causa dell’applicazione di nuovi dazi, sfavorevoli per questi ultimi.
Un’operazione che ha, di contro, favorito i vini italiani, proprio come accaduto con il crollo dei vini australiani e cileni in Cina, nel corso di quest’anno, dopo l’applicazione di nuovi deal anti-dumping da parte del governo di Pechino. Alla fine del 2020, dopo anni di tentativi di sorpasso, l’Italia si è improvvisamente ritrovata in cima al polo dei Paesi importatori di vino negli States. Una posizione che, oggi, il Bel Paese dovrà contendere non solo con il resto del mondo, ma con gli stessi vini locali.
Dal 2017, infatti, il mercato dei vini USA, già di per sé ampiamente saturo a causa della fortissima concorrenza internazionale, ha dovuto fare i conti con l’ingresso ufficiale delle etichette californiane (Stato in cui, nonostante tutto, la presenza degli italian wine è benvoluta), sempre più determinate ad affermarsi tra i “vini del nuovo mondo” più influenti sulla piazza.
Vendere vino negli USA: cosa sapere prima di iniziare
La complessità del mercato USA rende difficile l’ingresso di nuovi attori, specie nel caso delle piccole cantine. I costi per vendere vino negli States levitano facilmente, raggiungendo senza problemi tre volte il prezzo dell’etichetta sul mercato italiano attraverso le provvigioni di importatori e retailer. Un aspetto sul quale è obbligatorio confrontarsi e su cui, ovviamente, i grandi produttori / distributori sono certamente agevolati rispetto ai piccoli.
Non a caso, a pagare maggiormente lo scotto della crisi pandemica sono stati proprio questi ultimi, fiaccati dalle richieste di ritocchi sulla marginalità, ma anche dai ripetuti blocchi alla ristorazione, canale di riferimento per molte piccole cantine. A questi aspetti, si aggiunge, inoltre, la difficoltà nel reperire importatori alla ricerca di denominazione specifiche: una prassi fondamentale per vendere vino in un Paese, come gli USA, dove vige l’obbligo di affidarsi ad intermediari locali per la vendita dei prodotti sul mercato locale.
Una criticità, fortunatamente, superata grazie alla vendita online, che ha aperto le porte a nuove opportunità per le cantine italiane.
Non da ultimo, la necessità di uscire dal magnetismo delle piazze più importanti, come quelle di New York o Los Angeles, dove il costo del biglietto per sedersi al tavolo dei Big Five italiani (Brunello, Prosecco, Amarone, Chianti e Barolo), insieme al resto dei fine wine internazionali, rappresenta un fattore proibitivo per molte cantine. Cantine che potrebbero, invece, trovare opportunità interessanti, finanche più remunerative, altrove, in Stati considerati “minori”, semplicemente affidandosi all’agenzia giusta, con un proprio portfolio di importatori locali. Vediamone alcuni.
Massachusetts, il nono mercato USA per il vino italiano
Con 4,5 milioni di abitanti e 108.000 bottiglie di vini italiani importatori ogni anno, il Massachusetts costituisce uno dei 4 mercati sotto l’ombra delle grandi aree metropolitane più famose.
Meno sovraffollato, meno e caro e geograficamente vicino a New York, lo Stato dell’omonima tribù di indiani originari del territorio costituisce una piazza interessante per moltissimi italian wine.
Ovviamente, il grosso della partita si gioca nel distretto di Boston, dove la presenza di una nutrita rappresentanza di immigrati italiani di prima e seconda generazione offre ai produttori del Bel Paese una solida base alla quale aggrapparsi. Con oltre 6.000 attività di ristorazione e somministrazione con presenza di vini italiani nella carta, il Massachusetts è uno Stato ancora ampiamente da esplorare, non dominato dai big di settore, dove l’80% dei retailer si affida ad intermediari con referenze di piccola e media produzione.
New Hampshire, piccole grandi opportunità
Appena un milione di abitanti, ovvero nulla per gli standard USA, questo piccolo Stato vende tre volte il corrispettivo di bottiglie dichiarato nell’esempio precedente (ben 300.000 l’anno). Il motivo? Il New Hampshire è caratterizzato dalla presenza di “vicini di casa”, ossia gli altri Stati che lo circondano, con leggi molto meno permissive circa la libera vendita di bevande alcoliche.
Risultato? Circa il 60% delle transazioni avviene nei liquor store in prossimità dei confini, da parte di clienti che oltrepassano i limiti territoriali pur di acquistare i loro vini preferiti a prezzo migliore.
Un aspetto che ha determinato una crescita esponenziale del mercato locale di vini e spiriti negli ultimi anni, e il successo di molte cantine italiane.
Ohio e Michigan
Con 10 milioni di abitanti, lo stato del Michigan è la capitale industriale degli States. La presenza di poli dell’automotive nel distretto di Detroit ha fatto negli anni la fortuna (e purtroppo anche la sventura) di questo territorio. Al Michigan si affianca l’Ohio, entrambi con un mercato fortemente dominato dalla GDO, all’interno del quale risiedono interessanti opportunità per aziende decise a crescere nel Paese senza necessariamente scontrarsi da subito con i poli più affollati.
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