
Il 2020 avrebbe potuto essere anche l’anno della ripartenza ufficiale per i vini rosati, provati dopo la difficile vendemmia del 2017 che li aveva praticamente esclusi dai cataloghi. Purtroppo sappiamo tutti com’è andata a finire.
Il “Rosé” è ancora, purtroppo, uno dei vini meno considerati in Italia, che ne ha di fatto dimezzato la produzione a cavallo tra la prima e la seconda metà del 2000, guadagnando in questo modo un gap penalizzante rispetto ad altri importanti Paesi. Una poca affezione determinata, forse, da un fattore più culturale che economico. Il Bel Paese, infatti, non ha mai nascosto la propria fascinazione per i rossi, autentici ambasciatori in ogni regione dello Stivale. E quando si è trattato di “rinnovare” ha puntato tutto sulle bollicine e, doveroso dirlo, anche con grande successo.
Il prestigio dei vini frizzanti italiani è divenuto in pochi anni celebre in tutto il mondo, facendo la fortuna di chi, come la Regione Veneto, ha saputo costruire su essi un coinvolgente storytelling e un efficace asset strategico per l’export.
Nel frattempo, il resto del mondo – o meglio, d’Europa – non ha mai abbandonato la vinificazione “in rosa”, ottenendo risultati altrettanto remunerativi. Che quella dei rosati sia stata un’occasione persa per molti territori dove il rosato costituisce da sempre un secondo vino di bandiera (come nel caso del Cerasuolo abruzzese o del Salice salentino rosato) è forse un’ipotesi sulla quale iniziare a riflettere con attenzione. D’altronde, non è un caso se lo stesso Consorzio del Prosecco di Conegliano – Valdobbiadene stia da tempo pensando di modificare il disciplinare di produzione per aprire le porte alla produzione in rosa del più celebre vino bianco frizzante italiano.
Vino rosato: un’occasione da non perdere
Nonostante gli ultimi dati relativi al consumo di vini rosati in Italia e nel mondo risalgano al 2018, e rappresentavano un quadro in crescita del segmento, l’Italia del vino aveva già iniziato a capire che qualcosa stava cambiando. Non a caso, poco prima della Pandemia, si era costituito a Verona il primo nucleo dell’ancora in attività Istituto Rosautoctono, per la valorizzazione del rosato italiano.
Le iniziative a sostegno della strategia avrebbero dovuto snodarsi durante l’intero arco dell’anno appena trascorso ma il Covid, ovviamente, ha scombussolato i piani. Un imprevisto che costringe, oggi a rivedere tutti i piani, ma un primo importante passo nella giusta direzione è stato certamente avviato. Di fatto, una presa di coscienza sulle potenzialità offerte dal rosato italiano rappresenta, non solo, una buona opportunità economica, ma anche un’occasione per abbattere forse gli ultimi stereotipi ancora persistenti all’interno di un settore, oggi completamente aperto all’innovazione.
Da sempre associato ad un vino “frivolo”, “da donne” o, peggio ancora, “mescolato tra bianchi e rossi” nell’idea del grande pubblico, il rosato è attualmente in grado di stravolgere i paradigmi, raccontando in modo nuovo un settore all’interno del quale l’enologia al femminile, la sostenibilità, la sperimentazione e l’autenticità di prodotti e territori costituiscono valori aggiunti perfettamente in linea con le richieste di mercato.
Numeri del vino rosato nel mondo
Cosa accade nel resto del mondo? Secondo l’Osservatorio Mondiale dei Rosé, nel 2018 una bottiglia di vini fermi su dieci è rosa, e già allora il rosato aveva iniziato a segnare in ripresa con un aumento del 31% della produzione annuale.
In testa per consumi e ettolitri prodotti troviamo la Francia, dove il rosato rappresenta una istituzione (22% del volume complessivo), soprattutto nel periodo delle feste. Ha invece smesso di pensare in rosa il Portogallo, che esce dalla top ten dei produttori di rosato a livello internazionale in favore della Romania. Quest’ultima, insieme ad Austria, Ungheria, Svizzera e Moldavia costituiscono l’avamposto del rosato mitteleuropeo che, solo dallo scorso decennio, ha segnato percentuali in attivo incredibili: dal +60% al +180%.
Segue il resto del mondo, con Cile e Sud Africa che hanno rispettivamente raddoppiato e quadruplicato i volumi di produzione in pochi anni.
Export vino rosato: un buon momento per crescere
L’affezione verso questo vino cresce, soprattutto nei poli d’attrazione di fascia alta, come Germania e Regno Unito, da sempre legati al consumo di bianchi. Paesi che, più di altri, hanno abbracciato l’ingresso sul mercato degli spumanti italiani in modo entusiasta e sono, per questo, attenti alla scoperta delle novità.
Più in generale, per ciò che concerne i Paesi Terzi, il mercato dei rosati è ancora tutto da costruire. Un dettaglio che nasconde un grande vantaggio: essere i primi a farlo. Le strategie si concentrano interventi mirati su aree specifiche di Stati Uniti e Cina, dove la cultura del low-alchol e di vini meno strutturati e corposi di quelli prediletti, per esempio, in modo generico dal mercato Russo, siano già graditi al pubblico.
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