
Traduzione dell’articolo originale pubblicato dal The Economist sulle nuove frontiere dell’e-commerce in Cina.
Negli ultimi dieci mesi, la parte ricca del mondo ha partecipato alla più grande rivoluzione dello shopping mai accaduta in Occidente da quando centri commerciali e mega supermercati hanno conquistato le periferie delle nostre città, 50 anni fa. Com’è noto, la Pandemia ha portato ad un incremento della spesa online, accelerando di circa cinque anni la transizione dai negozi fisici.
Dimentica Babbo Natale che passa dal camino: i regali di Natale nel 2020 sono arrivati attraverso la cassetta delle lettere, o consegnati sulla soglia di casa. I dipendenti di una manciata di aziende, come Amazon e Walmart, hanno compiuto sforzi sovrumani per soddisfare gli ordini elettronici, con profitti incredibili per i loro investitori, mentre Wall Street ha aumentato entusiasta le azioni della vendita online al dettaglio in Occidente, considerandola la nuova avanguardia.
Tuttavia, la vera rivoluzione sta avvenendo in Cina, dove il futuro dell’e-commerce è già iniziato, raggiungendo livelli altissimi. Un mercato molto più complesso e creativo rispetto a quello Occidentale, dove le aziende presenti su e-store e social media sperimentano strategie sempre più eclatanti e coinvolgenti, con l’idea di trasformarsi in veri e propri empori dello shopping per 850 milioni di consumatori digitali.
E la Cina è anche alla frontiera di una nuova regolamentazione del commercio elettronico, iniziata con la notizia del 24 dicembre scorso, quando l’Antitrust occidentale ha avviato un’indagine su Alibaba, il sito co-fondato dal celebre magnate Jack Ma, fino a poche settimane fa titolare della società più quotata e preziosa del Paese.
Nell’ultimo secolo, aziende e consumatori di tutto il mondo hanno guardato all’America per individuare le nuove tendenze, dai codici a barre scansionabili sulle gomme Wrigley negli anni ’70 ai trend lanciati dalla modella Kim Kardashian nella seconda metà del 2000. Ora, per restare al passo, dovrebbero invece rivolgere lo sguardo a Oriente.
In verità, la leadership della Cina nel commercio elettronico non è del tutto nuova. Per dimensioni, il suo mercato aveva già superato quello americano nel 2013 quando, a causa della mancanza di spazio nei negozi fisici, consumatori e rivenditori cinesi avevano fatto grandi balzi in avanti nel mondo digitale. Alla sua prima quotazione nel 2014, Alibaba possedeva, infatti, già il maggior numero di utenti per traffico online a livello globale.
Oggi il mercato della vendita elettronica al dettaglio del Paese vale 2 miliardi di dollari, più di quello americano e dell’Europa messi insieme. Ma, al di là delle sue dimensioni, si distingue rispetto al passato, e all’industria Occidentale, in molti modi cruciali.
Per cominciare è più dinamico. Negli ultimi anni, nuovi concorrenti come Meituan e Pinduoduo, sono cresciuti grazie a modelli di business innovativi. Un segno feroce della concorrenza innescata dall’ingresso di questi player è ben rappresentato dalla perdita delle quote di Alibaba nella capitalizzazione del mercato e-commerce cinese: il portale è sceso dall’81% dei tempi d’oro al 55% di oggi. La concorrenza ha anche portato allo sviluppo di nuove tecnologiche per demolire i confini tra servizi diversi che, invece, sono ancora comuni in Occidente.
Il classico “Punta e clicca” è ormai superato: lo shopping online in Cina ora si fa combinando pagamenti digitali, gruppi di acquisto, social media, giochi, messaggistica istantanea, video in formato breve e celebrità in live streaming.
La domanda da un milione di dollari ora è: il modello di e-commerce cinese riuscirà a diventare globale?
Come purtroppo accade da decenni, i giganti della Silicon Valley tendono ancora a sottovalutare l’Oriente. Esistono pochi collegamenti tra le industrie digitali cinesi e americane, in parte a causa dell’estremo protezionismo da entrambe le parti (Yahoo ha venduto gran parte delle sue azioni ad Alibaba, troppo presto, nel 2012). Le aziende occidentali sono state organizzate da tempo in compartimenti stagni e, per questo, troppo prevedibili.
In sistema all’interno del quale, per esempio, Visa è specializzata solo nei pagamenti, Amazon nell’e-commerce, Facebook nei social media, Google nella ricerca e così via.
La principale fonte di incertezza, per quanto concerne l’e-commerce in Occidente, è ora rappresentata dal numero di rivenditori tradizionali destinati a fallire (oltre 30 corporazioni americane stimate nel 2020) con la transizione verso il futuro, e se altri importanti player, come Walmart e la Target Corporation, riusciranno a gestire in maniera virtuosa il passaggio online.
Tuttavia, ciò che sappiamo è che per quanto il commercio elettronico Occidentale possa sembrare sicuro, è improbabile che diventerà la modalità di acquisto dominante nel resto del mondo. Al di fuori dei Paesi ricchi, l’approccio cinese sta già guadagnando terreno.
Molte delle più grandi società di e-commerce nel sud-est asiatico (come Grab and Sea), in India (Jio) e in America Latina (Mercado Libre) sono influenzate dalla strategia cinese di offrire una sola “super-app” dotata di servizi integrati, dalla consegna di cibo ai servizi finanziari.
Le gigantesche aziende di beni di consumo che si trovano a cavallo tra l’Occidente e l’Oriente hanno già iniziato a cambiare direzione e potrebbero sviluppare presto nuove idee e format commerciali sulla base di quelli cinesi.
Multinazionali come la Unilever, L’Oréal e Adidas realizzano attualmente maggiori entrate in Asia che in America e le loro strategie guardano più alla Cina che alla California o a Parigi, per non perdere le ultime novità nel marketing digitale, nel fare branding e nell’organizzazione della logistica.
Allo stesso modo, le caratteristiche dei format cinesi stanno già emergendo nel cuore del commercio al dettaglio dell’Occidente, in parte a seguito della pandemia. I compartimenti stagni stanno iniziando a disgregarsi e le aziende si aprono alla diversificazione.
Facebook oggi promuove servizi di acquisto sui suoi social network in modo sempre più orientato verso il “social commerce“, cioè anche attraverso live-streaming e all’uso di WhatsApp per la messaggistica tra venditori e acquirenti. A dicembre, Walmart ha lanciato il suo primo evento di shopping online su TikTok, la popolare app video di proprietà cinese, della quale il gigante americano sta tentando di acquistare una quota.
In Francia, l’app di e-commerce “Vova” è passata dalla sesta alla quarta posizione tra le app più scaricate, ed è collegata alla cinese Pinduoduo.
Un occhio di riguardo, infine, è riservato ai nuovi entranti, che potrebbero finalmente far fare all’America progressi nel settore: il prezzo delle azioni di Shopify, popolare piattaforma canadese per gli “esiliati” da Amazon e le piccole imprese, è cresciuta vertiginosamente, fino a raggiungere una quotazione che supera i 140 miliardi di dollari.
Il passaggio a un’industria globale in stile cinese promette di essere un’ottima notizia anche per i consumatori occidentali. I prezzi medi di mercato scenderebbero, come accaduto nel Paese del Dragone, testimone di forti sconti dettati da una maggiore competizione tra le imprese. Parallelamente, anche la scelta e l’innovazione all’interno del settore sono destinate a salire.
Nonostante questo, la strategia e-commerce cinese non è, ovviamente, esente da difetti. Nel clima da selvaggio West, la frode è più comune e l’Antritrust occidentale ha sempre più lavoro da svolgere. E c’è anche chi ha tentato di vedere nel giro di vite innescato a dicembre contro il tycoon Mr Ma una ulteriore dimostrazione di forza del Partito Comunista Cinese, decisa a limitare l’espansione occidentale. In parte è possibile, ma la stessa autorità di regolamentazione antitrust cinese è in realtà interessata all’ingresso delle aziende straniere.
Ciò significa, però, rafforzare il livello di interoperabilità di servizi, come quello che consentirebbe la fruibilità di servizi di pagamento anche su piattaforme e-commerce rivali a livello internazionale. Cioè impedire alle aziende che vendono online di penalizzare i commercianti presenti su siti rivali di altri Paesi.
Allo stesso modo, gli stessi dipartimenti antifrode americani ed europei hanno premuto in modo inverno per “ostacolare” l’ingresso delle aziende cinesi sui mercati, generando una raffica di cause legali e bagarre in tribunale alla fine del 2020.
Anche loro, però, dovrebbero iniziare a studiare la rivoluzione in atto per avere un’idea di stia andando l’industria e sapere come rispondere. C’è un pregiudizio nel modo in cui l’Occidente pensa all’innovazione cinese. Dall’elettronica ai pannelli solari, i progressi tecnologici e industriali della Grande Cina sono stati sistematicamente ignorati o liquidati dagli stakeholder occidentali, minimizzando e riconoscendo, a malincuore e solo in un secondo momento, gli errori nei confronti del resto del mondo.
Ora che, invece, i gusti e le abitudini dei consumatori cinesi stanno diventando globali è tempo di guardare e imparare.