
Numeri, ipotesi e previsioni di un anno nero per la ristorazione, insieme a qualche strategia per la ripartenza post-Covid di cantine vinicole.
Ogni crisi è rappresentata da due fattori: problema e opportunità. Non è stata da meno l’emergenza Coronavirus, che di fatto ha costituito uno spartiacque a livello globale tra chi è riuscito a scavalcarla, affermandosi a livello professionale, e chi invece ne è stato completamente investito. Tra i più coinvolti sicuramente il settore ricettivo e della ristorazione, con ovvie ripercussioni sul mondo del vino che, da solo, riveste il 30% del fatturato stagionale di settore.
L’ultimo rapporto Istat sulle presenze straniere in Italia nella prima metà del 2020, parla di 81 milioni di visitatori in meno. Un deficit da 9,4 miliardi di euro, pari al 18% delle entrate stagionali degli operatori di settore, senza contare le perdite dell’indotto.
Un vero anno nero per le circa 33mila strutture alberghiere italiane e gli oltre 180mila esercizi ad esse correlati. Un bilancio sul quale la stessa FIPE stima possa determinare la possibile chiusura di circa 50.000 attività entro l’anno, e la perdita di 350.000 posti di lavoro.
In questo drammatico contesto, il vino italiano ha saputo farsi trovare preparato, o comunque reagire a testa alta. Con la chiusura forzata delle attività di ristorazione, gli sforzi maggiori si sono concentrati sull’export, ad oggi motore trainante dell’economia di settore. Non a caso, le ultime misure e revisioni di piani contributivi a sostegno delle cantine vinicole vertono quasi esclusivamente su investimenti per l’apertura di nuovi mercati esteri e la promozione di vini italiani nei Paesi Target da sempre più interessati ai nostri prodotti.
Ristorazione post-Covid: c’è anche chi cresce
Non tutti i numeri sono in rosso. Tra i ristoratori c’è anche chi, dal versante delle opportunità, ha saputo cogliere la sua e chi, magari inconsapevolmente, si è solo trovato nel posto giusto al momento giusto e sta registrando marginalità.
Parlano chiaro, ad esempio, i numeri della Regione Abruzzo, che solo a metà luglio di quest’anno ha già registrato un considerevole +15% di presenze rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il tutto in vista di agosto quando, cioè, la stagione turistica della regione entra solitamente nel vivo. A trainare l’ascesa sono i turisti nazionali, ossia provenienti da altre regioni d’Italia, Lombardia e Piemonte in primis.
Un successo dettato in particolar modo da condizioni favorevoli perfettamente in linea con i trend di questo 2020: maggiore isolamento, borghi autentici, cucina tradizionale, turismo lento, paesaggi mozzafiato, natura incontaminata, prezzi accessibili.
C’è da chiedersi, però, quanto lunga sarà la completa ripresa per il resto del settore, che gli esperti non preannunciano prima del 2024.
Vino e ristorazione: lenta ripresa ma segnali in positivo
Ma c’è anche chi cresce in città e, come spesso accade, è chi ha saputo reinventarsi, rilanciare e diversificare. Chi ha approfittato della chiusura forzata per rivedere le proprie strategie operative e commerciali, sviluppandone di nuove per adattarsi ad un mercato diverso.
D’altronde, la voglia di tornare c’è e, nonostante il calo di turisti, anche nelle piccole e grandi città italiane iniziano a vedersi segnali positivi, specie nel fine settimana. In questo, il vino gioca un ruolo fondamentale e sempre di più si moltiplicano le partnership tra cantine, ristoranti e alberghi, orientate in particolar modo sulla strategia enoturistica.
A detta degli esperti, però, la strada da percorrere è ancora lunga. Ed è sempre la FIPE ad ammettere come un ritorno ai flussi pre-emergenziali, secondo le stime attuali, non sia possibile prima dei prossimi 4 anni. Tra le problematiche più impellenti quella degli oltre 50 milioni di ettolitri di vini ancora in giacenza nell’aprile scorso nelle cantine italiane a causa del blocco al settore HoReCa. Un ostacolo non da poco in previsione dei mesi di vendemmia, che ha spinto la Commissione Europea a rivedere i piani di rendicontazione Ocm Vino e ad approvare nuove misure a sostegno dei viticoltori.
L’export resta una soluzione stabile
Non meno preoccupanti, ma comunque più stabili, i primi numeri in arrivo sulle prestazioni del vino italiano all’estero. Il segmento export, dopo una spinta iniziale in positivo a ridosso del lockdown, resta ancora il principale canale di vendita dell’italian wine.
Oltre il 60% della produzione di vino in Italia, infatti, prende ogni anno la via dell’estero, con segmenti rappresentati da vini nobili e di prestigio, come Amarone e Barolo, divenuti negli ultimi anni veri e propri ambasciatori del Made In Italy. Con la retrocessione della Cina in fondo alle classifiche dei principali poli di importazione, l’export del 2020 ha ormai volto quasi totalmente lo sguardo agli Stati Uniti, insieme ad altri Paesi emergenti, come Canada, Germania e Russia, sui quali il vino italiano continua a guadagnare terreno.
E se il difficile è stato, in un primo momento, continuare a trovare canali di vendita a causa dell’annullamento di fiere ed eventi di settore, una soluzione è prontamente arrivata da internet, con sempre più aziende decise ad investire nei B2B online.
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