
La formale uscita del Regno Unito dai confini politici dell’Unione Europea ha rappresentato il più grande sconvolgimento economico del Vecchio Continente dai tempi del crollo dell’Unione Sovietica. Uno sconvolgimento sul quale gioca un ruolo determinante la parallela insorgenza del Covid, a causa del quale le economie internazionali hanno vacillato (e continuano a farlo).
Nonostante il mondo del vino, e in particolar modo quello italiano, abbiano dimostrato una certa resilienza nel reggere l’impatto con la crisi ancora in corso, restano evidenti gli interrogativi sul futuro. Da un lato, a causa dei recenti rincari di materie prime, che hanno interessato anche la filiera enologica con aumenti sul prezzo dello zucchero, della carta, del vetro e delle spedizioni.
Dall’altro con l’incertezza di quanto potrebbe avvenire, e in parte sta già accadendo, nel Regno Unito, cioè uno dei principali mercati europei per il vino. Solo in Italia, infatti, l’export agroalimentare in Gran Bretagna vale ogni anno oltre 3 miliardi di euro.
Export di vino nel Regno Unito: cosa succede, cosa succederà
Attualmente le spedizioni di vino nel Regno Unito si trovano in equilibrio su un terreno piuttosto scosceso. A giocare ruoli determinanti nella delicatissima partita in atto non c’è solo il Covid (che, dopo l’insorgere della “variante inglese”, sembra essere tornato ad affliggere la Britannia con una nuova e pesantissima diffusione dei contagi).
Altri potenziali vettori di rischio sono ovviamente rappresentati dalla questione Brexit, all’interno della quale si vanno sempre più definendo scenari ora rassicuranti, ora meno. Dopo una prima decisione combinata da parte dell’UE e del governo Jhonson di accantonare momentaneamente la possibile applicazione di nuovi dazi sui prodotti di importazione in UK, dal gennaio scorso la questione è ora tornata sui tavoli del governo, e continua ad essere discussa.
Alcune accise, rispetto al passato, sono già state confermate, con ripercussioni tutto sommato contenute, dal momento che l’uscita del Regno Unito dall’Europa ha comunque rappresentato – a sua volta – l’ingresso ufficiale della nazione tra i Paesi Target dei bandi Ocm Vino. E questo, ovviamente, con condizioni favorevoli per i produttori stranieri, come le cantine italiane, interessate a vendere i propri vini oltre Manica.
Palla al centro, quindi, oppure no?
No, perché al di là della questione dazi, i numeri del vino nel Regno Unito, sempre in termini di importazioni, parlano chiaro: tra il terzo trimestre del 2019 e 2020, gli effetti non solo dell’emergenza, ma anche della nuova burocrazia export si sono fatti sentire, determinando un calo nelle importazioni del 6% (714 milioni di euro in valore).
Dati parzialmente rientrati nel 2021 quando, nel primo semestre dell’anno, i numeri sono tornati a registrare una sensibile, ma pur sempre contenuta ripresa. In soldoni, comunque, tanto per tirare le fila, entrambe le annualità post pandemiche si sono chiuse in negativo per il mercato dei vini in Gran Bretagna.
Spedire vini nel Regno Unito: nuove regole e costi
Alle normative post Brexit hanno ovviamente fatto seguito, come ampiamente preannunciato dal governo Jhonson, anche nuove accise per l’ingresso di bevande alcoliche nel Regno Unito, che determinano al momento già un sovrapprezzo sul valore finale del prodotto del 61%. Percentuale, forse, destinata a salire, a causa dei rincari su materie prime e spedizioni che stanno interessando un po’ tutti i continenti.
Fenomeni che, come accade nella gran parte dei casi, ne ha trascinato altri ben più pericoloso, come – nel caso del Regno Unito – il notevole incremento di contraffazioni da parte di distributori e operatori locali.
In molti ricorderanno i kit per la produzione di Barolo, il Prosecco in lattina, i distributori alla mescita di finto Lambrusco o, ancora, le bag-in-box diffuse sugli scaffali delle principali metropoli inglesi, battenti – ingannevolmente – bandiera italiana. Un aspetto del mercato in grado di sottrarre all’intero mercato delle importazioni oltre 100 miliardi euro l’anno, ma che asseconda, per quanto concerne il vino, un trend abbastanza confermato: quello della sempre crescente predilezione questa bevanda nel Regno Unito.
In una terra tradizionalmente legata ad altri beverage, dalla birra agli spirits come gin e whisky, il vino – italiano e non – ha saputo in questi anni costruirsi una reputazione solida e molto gettonata, divenendo la prima bevanda alcolica nel Paese.
Perché l’export di vini nel Regno Unito non può fermarsi
L’importanza di continuare a garantire rapporti commerciali tra UK e resto d’Europa è stata recentemente riconfermata nel corso dell’ultima edizione del Simply Great Italian Wines, organizzata a Londra nei mesi scorsi.
Edizione molto attesa da importatori e operatori internazionali, in quanto la prima in presenza a seguito della Pandemia, dopo lo spin-off del Vinitaly Special Edition. Ed è proprio Veronafiere ad aver posto l’accento sulla necessità per importatori britannici e produttori italiani di continuare a lavorare in ottica di reciproca convenienza, per garantire continuità alle transazioni.
Soprattutto dal mento che, negli ultimi cinque anni, proprio il mercato britannico ha rappresentato un trampolino di lancio per vini italiani come Prosecco, Montepulciano d’Abruzzo e altre importanti denominazioni.
Vini che hanno visto la propria popolarità crescere esponenzialmente anno dopo anno (+50% in un triennio, per il celebre rosso Abruzzese) e che oggi potrebbero perdere terreno, in un momento particolarmente delicato.
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La verità, al netto di tutto, è comunque una sola: gli importatori inglesi non hanno mai smesso di cercare vini italiani. E su questo ne siamo sicuri: ce lo confermano le nostre Call 4 Wine.
Il mercato dei vini di importazione nel Regno Unito è tanto importante per i produttori italiani, quanto per gli importatori britannici. La popolarità degli italian wines, e il loro particolare legame con settori ben clusterizzati, come quello della ristorazione di fascia alta, non può semplicemente svanire.
Le richieste arrivano, attraverso nuovi e interessanti canali, come quelli online, sui quali molti professionisti del settore sono migrati già nelle primissime fasi dell’emergenza sanitaria, per garantire continuità ai propri business.
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